giovedì 16 maggio 2013
domenica 12 maggio 2013
“La festa della Mamma, Giacinta e le donne che vogliono lavorare”
In occasione della Festa della Mamma il mio pensiero va, senza alcun dubbio, a
tutte le madri che lavorano o che
vorrebbero farlo e non possono perché ancora oggi, nel 2013, la maternità
rappresenta una vera e propria ipoteca sul futuro professionale delle donne.
In questo giorni Repubblica ha pubblicato una inchiesta on
line dal significativo titolo “Questo non è un Paese per mamme”, dove la giornalista Ficocelli pubblica,
assieme ad una video intervista con la testimonianza di una donna licenziata in
occasione della maternità, anche i risultati di una indagine condotta con cento
mamme intervistate su alcuni temi come la conciliazione, i servizi pubblici e
il lavoro. Alla domanda se l’Italia sia un paese per mamme, se cioè il nostro
Stato aiuti e sostenga la maternità, 74 donne su 100 dicono di no e alle
domande successive emergono le difficoltà a conciliare gli impegni familiari e
il lavoro, la mancanza di servizi e le discriminazioni sul lavoro subite a
seguito della scelta genitoriale.
Sono tante le donne che vengono presso l’Ufficio della
Consigliera Regionale di Parità per raccontare storie di discriminazioni sul
lavoro legate alla maternità, licenziamenti, dimissioni indotte, mancate
assunzioni o carriere stroncate in occasione del lieto evento.
Il compito della consigliera di parità è quello di assistere
legalmente le lavoratrici o anche i lavoratori (e ne vengono sempre di più a
rivendicare congedi parentali non riconosciuti) che siano discriminati per
motivi legati al sesso e, in questi anni, diversi sono i casi che ho avuto
l’onore di seguire con risultati positivi.
In questa ricorrenza voglio raccontare la storia di
Giacinta, farmacista e madre di tre bambini, di cui l’ultimo di nemmeno un
anno, che si è vista negare la proroga del contratto di lavoro perché era in
astensione obbligatoria per maternità.
Ogni volta che parlo in pubblico di discriminazioni sul
lavoro, mi viene obiettato subito che ormai
non esistono quasi più e la argomentazione più frequente è che, al
contrario, la maternità nel pubblico impiego gode di un eccesso di tutele. Eppure
Giacinta lavorava proprio presso una Pubblica Amministrazione come dirigente
farmacista assieme ad altri ventinove colleghi. E quando l’ASP in questione ha
deciso di prorogare il contratto, che era a tempo determinato, ai trenta
dirigenti, lo ha fatto solo per gli altri ventinove, lasciando senza lavoro
proprio e solo lei perché in astensione obbligatoria per la gravidanza.
Alla incredulità di fronte alle parole della donna, è
seguito un lavoro alacre da parte dell’Ufficio della Consigliera di Parità per
ricostruire tutto il fascicolo e predisporre il ricorso di fronte al giudice
del lavoro, il quale ha non solo riconosciuto l’esistenza della discriminazione
nella condotta dell’ASP , ma ha ordinato la cessazione del comportamento illegittimo e, al fine di rimuoverne gli
effetti, ha condannato l’Ente al risarcimento in favore della dottoressa del
danno patrimoniale causato commisurato alle retribuzioni non corrisposte per il periodo di mancata proroga (sedici
mesi) par ai circa cinquantacinquemila euro.
Il Tribunale ha, altresì, riconosciuto oltre il risarcimento
del danno patrimoniale anche quello non patrimoniale per perdita di chance pari
a settemilacinquecento euro e quello per il pregiudizio morale ed esistenziale
cagionato dalla discriminazione sofferto per ulteriori duemilacinquecento euro.
I profili innovativi della sentenza emergono proprio
nel passaggio relativo alla
risarcibilità del danno, perché evidenziano un aspetto drammatico delle
conseguenze dei comportamenti discriminatori nei confronti delle donne: lo
scoraggiamento. Una lavoratrice licenziata o discriminata in occasione della
maternità è una donna che difficilmente rientrerà nel mercato del lavoro e che,
a causa delle difficoltà incontrate, perderà sempre di più le opportunità di
tornare a lavorare fino ad arrivare al punto di scegliere di non cercare più
lavoro.
Dedico questa sentenza a tutte le madri come Giacinta, che
lavorano o vorrebbero lavorare e che sono orgogliose della loro scelta di
maternità e la difendono a testa alta.
Maria Stella Ciarletta – avvocato /Consigliera Regionale di
Parità
mercoledì 8 maggio 2013
“La violenza sulle donne e il ruolo dell'avvocatura”
“La
violenza sulle donne, prima ancora che materia giuridica, è
emergenza culturale”. Lo slogan lanciato da Serena Dandini per
promuovere l'appello on line per la convocazione da parte del Governo
degli stati generali contro la violenza di genere è una sintesi
tristemente perfetta del problema.
Non
passa giorno che non si legga sui quotidiani di donne uccise per mano
del proprio partner o ex partner, di donne perseguitate
ossessivamente da uomini incapaci di elaborare una separazione ma
anche un semplice rifiuto, molestate dai datori di lavori,
destinatarie di un linguaggio violento e oggetto di una
rappresentazione mediatica superficiale e eccessivamente sessuata.
Ilaria
Leone, Alessandra Iacullo, Michela Fioretti, sono solo i nomi delle
vittime più recenti del femminicidio italiano, a cui forse si dovrà
aggiungere anche quello della reggina Immacolata Rumi, sul cui
decesso sta indagando la Procura reggina, e per il quale, ad oggi, è
sospettato il marito della donna.
Le
dichiarazioni della Presidente della Camera Laura Boldrini e della
Ministra per le Pari Opportunità Josepha Idem lasciano ben sperare
per un'intervento strutturale da parte del Governo e del Parlamento
su questo tema, sulla scia del Piano Nazionale contro la violenza
sulle donne adottato già nel 2010.
L'auspicio
è che all'azione di ordine pubblico, indispensabile per reprimere
l'emergenza di un crescendo criminoso che vede salire a 35 le donne
morte per mano di un uomo nel 2013, con un un dato di 124 morti
violente nell'anno precedente, si affianchi un processo culturale
innovativo che già dalle scuole elementari educhi al dialogo e al
rispetto dell'altro i bambini e le bambine, un cambiamento nell'uso
che del corpo della donna si fa nei programmi televisivi e negli spot
pubblicitari, dove abbiamo visto pubblicitari, senza scrupoli e
fantasia, rappresentare scene di femminicidio per vendere uno
straccio per la polvere.
Le
associazioni femminili stanno lavorando alacremente da anni e mai
come in questo periodo ho visto le ho viste così unite per sostenere
questa battaglia di civiltà.
Se
Non Ora Quando ha correttamente fatto notare come le denunce delle
donne siano spesso prese sotto gamba e la lentezza nei processi possa
ritorcersi contro la stessa parte offesa, il sistema di tutela penale
appare inadeguato rispetto alle esigenze di protezione reale e
immediata di cui le vittime necessitano in questi casi. Ed è in
questi momenti che svolgono un ruolo strategico i centri antiviolenza
e le case rifugio, che però faticano ad andare avanti e sostenere i
costi di gestione.
Di
tutto questo se ne discute da anni, le azioni di contrasto proposte
vanno verso un maggiore impegno politico/economico da parte del
Governo, con l'augurio che alle parole segua un serio impegno di
bilancio da investire sulle strategia di contrasto alla violenza,
perchè senza un budget adeguato anche le migliori buone intenzioni
si fermano per strada.
L'anno
scorso il Consiglio Nazionale Forense, in esecuzione del Protocollo
d'Intesa sottoscritto con il Ministero Pari Opportunità, ha formato
ottanta giovani avvocate ed avvocati, provenienti da quattro regioni
del Sud tra cui la Calabria, per diventare “avvocati che difendono
le donne” in un percorso multidisciplinare, riconosciuto dal
Dipartimento Pari Opportunità presso la Presidenza del Consiglio dei
Ministri. Da questa bellissima esperienza è nata una vera e propria
task force di legali a disposizione della società, dei centri
antiviolenza e sopratutto delle donne che abbiano bisogno di essere
assistite, chiedere un parere o semplicemente essere ascoltate.
Il
progetto sta continuando e i Comitati Pari Opportunità degli Ordini
stanno proseguendo per replicarlo sul territorio, creando nuove
competenze e professionalità su questo tema con la precisa volontà
di impegnarsi in prima persona per diventare avvocate che difendono
le donne e parte attiva nell'azione di contrasto alla violenza di
genere.
Questo
impegno, malgrado possa apparire “marginale” per le sua
dimensione, ha il grande merito di aver fatto scendere in campo
l'avvocatura sul tema della violenza contro le donne, conferendo a
questa professione una ulteriore dimensione di responsabilità
sociale e partecipazione attiva alle battaglie per i diritti civili
in Italia.
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