In occasione della Festa della Mamma il mio pensiero va, senza alcun dubbio, a
tutte le madri che lavorano o che
vorrebbero farlo e non possono perché ancora oggi, nel 2013, la maternità
rappresenta una vera e propria ipoteca sul futuro professionale delle donne.
In questo giorni Repubblica ha pubblicato una inchiesta on
line dal significativo titolo “Questo non è un Paese per mamme”, dove la giornalista Ficocelli pubblica,
assieme ad una video intervista con la testimonianza di una donna licenziata in
occasione della maternità, anche i risultati di una indagine condotta con cento
mamme intervistate su alcuni temi come la conciliazione, i servizi pubblici e
il lavoro. Alla domanda se l’Italia sia un paese per mamme, se cioè il nostro
Stato aiuti e sostenga la maternità, 74 donne su 100 dicono di no e alle
domande successive emergono le difficoltà a conciliare gli impegni familiari e
il lavoro, la mancanza di servizi e le discriminazioni sul lavoro subite a
seguito della scelta genitoriale.
Sono tante le donne che vengono presso l’Ufficio della
Consigliera Regionale di Parità per raccontare storie di discriminazioni sul
lavoro legate alla maternità, licenziamenti, dimissioni indotte, mancate
assunzioni o carriere stroncate in occasione del lieto evento.
Il compito della consigliera di parità è quello di assistere
legalmente le lavoratrici o anche i lavoratori (e ne vengono sempre di più a
rivendicare congedi parentali non riconosciuti) che siano discriminati per
motivi legati al sesso e, in questi anni, diversi sono i casi che ho avuto
l’onore di seguire con risultati positivi.
In questa ricorrenza voglio raccontare la storia di
Giacinta, farmacista e madre di tre bambini, di cui l’ultimo di nemmeno un
anno, che si è vista negare la proroga del contratto di lavoro perché era in
astensione obbligatoria per maternità.
Ogni volta che parlo in pubblico di discriminazioni sul
lavoro, mi viene obiettato subito che ormai
non esistono quasi più e la argomentazione più frequente è che, al
contrario, la maternità nel pubblico impiego gode di un eccesso di tutele. Eppure
Giacinta lavorava proprio presso una Pubblica Amministrazione come dirigente
farmacista assieme ad altri ventinove colleghi. E quando l’ASP in questione ha
deciso di prorogare il contratto, che era a tempo determinato, ai trenta
dirigenti, lo ha fatto solo per gli altri ventinove, lasciando senza lavoro
proprio e solo lei perché in astensione obbligatoria per la gravidanza.
Alla incredulità di fronte alle parole della donna, è
seguito un lavoro alacre da parte dell’Ufficio della Consigliera di Parità per
ricostruire tutto il fascicolo e predisporre il ricorso di fronte al giudice
del lavoro, il quale ha non solo riconosciuto l’esistenza della discriminazione
nella condotta dell’ASP , ma ha ordinato la cessazione del comportamento illegittimo e, al fine di rimuoverne gli
effetti, ha condannato l’Ente al risarcimento in favore della dottoressa del
danno patrimoniale causato commisurato alle retribuzioni non corrisposte per il periodo di mancata proroga (sedici
mesi) par ai circa cinquantacinquemila euro.
Il Tribunale ha, altresì, riconosciuto oltre il risarcimento
del danno patrimoniale anche quello non patrimoniale per perdita di chance pari
a settemilacinquecento euro e quello per il pregiudizio morale ed esistenziale
cagionato dalla discriminazione sofferto per ulteriori duemilacinquecento euro.
I profili innovativi della sentenza emergono proprio
nel passaggio relativo alla
risarcibilità del danno, perché evidenziano un aspetto drammatico delle
conseguenze dei comportamenti discriminatori nei confronti delle donne: lo
scoraggiamento. Una lavoratrice licenziata o discriminata in occasione della
maternità è una donna che difficilmente rientrerà nel mercato del lavoro e che,
a causa delle difficoltà incontrate, perderà sempre di più le opportunità di
tornare a lavorare fino ad arrivare al punto di scegliere di non cercare più
lavoro.
Dedico questa sentenza a tutte le madri come Giacinta, che
lavorano o vorrebbero lavorare e che sono orgogliose della loro scelta di
maternità e la difendono a testa alta.
Maria Stella Ciarletta – avvocato /Consigliera Regionale di
Parità
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